Sofonisba Anguissola: la “virtuosa” pittrice.

11/2/2024 - Nicoletta Torri

La vita e l’arte di Sofonisba Anguissola

Sofonisba Anguissola è ritenuta oggi la pioniera della pittura “femminile”, la prima che si affermò e venne apprezzata dai contemporanei in un ambito che fino a quel momento riguardava solo il mondo maschile. Inoltre, Sofonisba fu un’artista di rilievo che portò in Spagna lo stile della Maniera dell’Italia del Settentrione. Dalla città natale di Cremona, approdò alla corte di Filippo II, dove ebbe l’importante incarico di dama di compagnia della regina consorte Elisabetta di Valois. Qui ebbe l’occasione di poter insegnare e praticare la pittura, facendosi apprezzare dalla corte. Tornata in Italia, Sofonisba diverrà un importante punto di riferimento per gli artisti a lei contemporanei, tanto da farsi ritrarre alla veneranda età di novant’anni dal pittore olandese Antoon van Dyck1.

Sofonisba nacque e crebbe a Cremona, da una famiglia della piccola nobiltà cittadina. I membri della famiglia Anguissola possono essere rintracciati fin dal dodicesimo secolo, molti dei quali erano ricchi mercanti. Il titolo nobiliare fu concesso ufficialmente nel 14492, come ci è testimoniato dalle fonti del tempo:

«Con Lazzaro Anguissola, della parrocchia di San Giorgio, padre di Annibale e Marsilio, può essere ufficializzato il ramo nobiliare della famiglia cremonese»3.

L’anno di nascita di Sofonisba rimane incerto e oggetto di dibattito. Prima del Concilio di Trento del 1565, alle parrocchie non era richiesto di registrare le nascite, i matrimoni o le morti. Prima di questa data, gli atti di nascita o i matrimoni venivano annotati solo nel caso di atti commerciali che si verificavano dallo scambio di denaro (doti) o la legittimazione della nascita di un nobile (come nel caso della nascita del padre di Sofonisba, Amilcare Anguissola), che venivano registrati presso un notaio4.

Si pensa che Sofonisba sia nata tra gli anni 1528-1540, in particolare Carlo Bonetti quota l’anno 1532 come il più plausibile poiché nel 1632 al centenario della sua nascita, il secondo marito Orazio Lomellino, le dedicò la lapide di marmo che oggi si trova nella chiesa di San Giorgio dei Genovesi a Palermo. Sappiamo inoltre che a Palermo tra il 1624-1625 scoppiò la peste e sarebbe proprio in questo momento che la pittrice, poco prima della sua morte, incontrò il pittore Antoon Van Dyck. Per questo, si tiene come data indicativa della nascita della pittrice il 1532. 

Secondo Bonetti5, nell’arco di vent’anni, Amilcare Anguissola e la moglie Bianca ebbero in totale sette figli: Sofonisba, Elena, Lucia (morta nel 1565),  Minerva, Europa, Anna Maria e Asdrubale; tutti nomi di origine storica o mitologica. Questo ci fa capire l’interesse di questa famiglia per la cultura: il padre infatti decise di dare alle sei figlie un’educazione che spaziasse il più possibile dalla letteratura all’arte, come veniva fatto nelle altre famiglie nobili per i figli maschi. Le bambine furono educate secondo la miglior tradizione rinascimentale, impararono a leggere e a scrivere, studiarono i classici greci e latini, le scienze, ricevettero lezioni di galateo e di musica. Questo tipo di educazione può considerarsi innovativo per il tempo, dato che nelle famiglie aristocratiche le ragazze venivano educate ad essere delle brave mogli, applicandosi solo nel cucito, nel portamento, nel buon costume e nella musica. Questo può avere una spiegazione nel fatto che probabilmente i genitori di Sofonisba attribuivano un valore elevato alla realizzazione artistica delle proprie figlie: proprio in quegli anni Il Cortegiano di Baldassarre Castiglione (1528) consigliava di dare un’educazione appropriata alle fanciulle. Ma per Germaine Greer c’è un’altra possibile spiegazione, meno nobile della prima: 

«I reali motivi per cui Amilcare Anguissola volle educare le sue figlie alle arti potrebbero essere che Sofonisba era la maggiore di non meno di sei figlie, per le quali si doveva trovare una dote. Al loro fratello minore Asdrubale non fu insegnato a dipingere, ma tutte le ragazze sono state incoraggiate a sviluppare più talenti possibili.6»

Sappiamo che nel 1568, Giorgio Vasari venne a conoscenza dei talenti sorprendenti delle sei sorelle Anguissola e volle averne prova, visitando la loro abitazione a Cremona. Diversi studiosi in epoca successiva riprendono quanto scritto da Vasari, ribadendo la straordinaria capacità di queste giovani fanciulle che eccellevano nella pittura, nella musica e nelle belles lettres7.

Nel 1546 Sofonisba e la sorella Elena iniziarono i loro studi di pittura nella bottega del pittore manierista Bernardino Campi8. Pittore cresciuto e formatosi a Mantova, proviene da una famiglia di artisti: il padre Pietro, orafo, insegnò al figlio la tecnica del bassorilievo. Esordisce a Cremona e si afferma come pittore manierista, d’influenza michelangiolesca. Come spiegato da Charles de Tolnay, si tratta di una corrente del Manierismo che riprende gli ultimi lavori di Michelangelo, caratterizzati da una forzatura di forme e colori. Altri artisti seguiranno questo stile, come lo stesso Vasari, Pontormo e Bronzino. Bernardino Campi quindi sarà una figura centrale per lo sviluppo del talento artistico di Sofonisba. Giovanni Battista Zaist ci racconta a tal proposito:

«Nel 1546 … lei (Sofonisba) ed Elena rimasero in casa di Bernardino Campi, già pittore noto a Cremona. Egli la introdusse alle gioie dell’arte correggendola senza rimprovero, a volte lodandola senza adulazione, a cui lei rispose con affetto. Restarono in casa per diversi anni, e lei (Sofonisba) fu presa con delizia dall’abitudine di conversare con la moglie di Bernardino (Anna)9». 

Le due ragazze rimasero nella casa di Campi per circa tre anni, fino al 1549, quando il pittore fu chiamato a Milano. Sofonisba, anche successivamente, rimase a stretto contatto con il proprio maestro tanto che nel 1584 Alessandro Lamo pubblicò una lettera scritta da Sofonisba a Campi, durante il suo soggiorno spagnolo, dove essa si autoproclama «sua affezionata discepola»10. Dal 1549, Sofonisba ed Elena furono allieve di Bernardino Gatti, con il quale lo stile della giovane pittrice si perfezionò ulteriormente. Gatti, soprannominato in lombardo Il Sojaro, fu il pittore a cui Amilcare commissionò le volte di San Sigismondo a Cremona e successivamente scelse come maestro per le figlie.

Da qui prende avvio l’attività pittorica di Sofonisba che presto inizierà ad avere successo: uomini e donne delle famiglie nobili di Cremona iniziano a richiedere alla pittrice opere e ritratti. Se guardiamo proprio alla ritrattistica, Sofonisba si specializzerà proprio in questo campo e non solo: insieme a Dürer e Rembrandt, Sofonisba produrrà più autoritratti di qualsiasi altro artista tra XVI e XVII secolo. Persino il padre utilizzerà i suoi autoritratti per diffondere la notorietà della propria figlia, mandandoli a figure di rilievo come a papa Giulio III oppure alla corte degli Este a Ferrara11

Sono di questi anni le opere della pittrice che le porteranno fama, tra l’altro quelle che ritraggono la propria famiglia in scene di vita quotidiana, caratterizzate da espressioni d’una spontaneità inusuale (figg.1-2).

Figura 1: Sofonisba Anguissola, Partita a scacchi, 1555, Naradowe Muzeum, Poznaǹ.
Figura : Sofonisba Anguissola, Ritratto di famiglia, 1558, Nivå (Fredensborg), Nivaagaards Malerisamling.

Questa attenzione per l’espressività da parte della pittrice si ritrova anche nei disegni di questi anni, dove Sofonisba apre un nuovo capitolo della ritrattistica: i volti non sono stilizzati o inespressivi, ma naturali, mutano a seconda dell’emozione dominante. Vediamo la sorella sghignazzare di fronte ad una vecchia intenta a leggere (fig.3), oppure il fratellino morso da un gambero (fig.4), in preda ad un pianto disperato.

Come se la quotidianità entrasse improvvisamente nei quadri, cancellando quei volti impostati e freddi che caratterizzavano la ritrattistica aristocratica del tempo. A tal proposito, fu proprio Vasari a parlarci di questo disegno (fig.3) che fu mandato dal nobiluomo romano Tommaso de Cavalieri a Cosimo de’ Medici. Quest’ultimo, annota:

«Michelangelo che, veduto un disegno di sua mano di una giovane che rideva, disse che harebbe voluto vedere un putto che piangesse come cosa molto più difficile, et essendole scritto, lei li mandò questo quale è un ritratto di un suo fratello fatto piangere studiosamente»12.

Recenti studi ci dicono che questo disegno, che studia l’espressione umana su un bambino, può aver influenzato Caravaggio, per il Ragazzo morso da un ramarro; inoltre la lettera di Cavalieri che accompagna il disegno descrive un forte legame tra gli Anguissola e Michelangelo. Secondo Cavalieri, Sofonisba (tramite il padre Amilcare) mandò un disegno a Michelangelo con ritratto una bambina ridente. Il pittore rimase piacevolmente colpito dalla bravura della giovane pittrice nel catturare l’espressività umana in maniera così naturale13. Il percorso di Sofonisba si centrerà proprio su quest’approfondimento dell’espressività sia sugli altri che su se stessa, nei propri autoritratti. 

Figura 3: Sofonisba Anguissola, vecchia che studia l’alfabeto ed è derisa da una bambina, 1559 ca., Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi, Firenze.
Figura 4: Sofonisba Anguissola, Fanciullo morso da un gambero, 1554 ca., Museo Nazionale di Capodimonte, Napoli.

Nel 1559, Sofonisba allora ventenne, fu chiamata alla corte di Filippo II di Spagna per essere la dama di compagnia della futura consorte del re, Elisabetta di Valois. Anche in questo caso, il padre giocò un ruolo fondamentale: grazie alle sue numerose conoscenze riuscì a far ricoprire alla figlia un incarico di enorme prestigio.

Il periodo spagnolo fu per Sofonisba piacevole ma anche produttivo, infatti la pittrice si cimentò in diversi ritratti di datazione non sempre semplice. Questo perché il ruolo ricoperto non era di artista di corte, ma di dama di compagnia, ruolo che le permetteva di avere un’altissima considerazione a corte e fuori: sappiamo da Vasari che il ritratto della regina Elisabetta di Valois (fig.5) fu richiesto e successivamente elogiato da papa Pio IV14. Vediamo per la prima volta una donna artista cimentarsi in un ruolo che per secoli era appartenuto alla sfera maschile. A tal proposito Orietta Pinessi scrive:

«Il dipingere per la Anguissola, una delle dame più amate della regina, era una sorta di hobby, una passione, un’attitudine, un ulteriore motivo di ammirazione da parte dei reali e dignitari di corte, ben più “alto” era il suo incarico ufficiale.15»

Figura 5: Sofonisba Anguissola, ritratto di Elisabetta di Valois, 1561-65 ca, Museo del Prado, Madrid.

Fino al 1568, data di morte della regina, Sofonisba rimase alla corte spagnola dove continuò a dipingere e insegnare pittura. Successivamente Filippo II si incaricò di maritarla con un uomo di nobile rango e italiano: in prime nozze andò sposa al nobile siciliano Fabrizio Moncada e si trasferì in Sicilia.

Successivamente, alla morte del marito nel 1578, Sofonisba lasciò l’isola per raggiungere la Liguria. Fermatasi provvisoriamente a Livorno, la pittrice conobbe e sposò, in seconde nozze, il nobile genovese Orazio Lomellini nel 1579. In tutto questo periodo Sofonisba non perse mai i contatti con la corte spagnola e non tornò mai alla sua città natale, ma ebbe sempre stretti contatti con i nipoti e parenti.

Sofonisba non smise mai di dipingere, tanto che tornata a Palermo con il suo secondo marito, fu maestra del pittore Pietro Francesco Piola che dirà «d’esser stato discepolo della più illustre pittrice de’ suoi tempi»16. La sua casa diventò presto un salotto di formazione per i giovani artisti con cui Sofonisba piaceva scambiare pareri e consigli. Negli ultimi anni di vita viaggiò molto tra Palermo e Genova e nel 1624 fu visitata dal pittore olandese Antoon Van Dyck che le dedicò un ritratto (fig. 6). Ormai molto anziana e quasi cieca si spense a Palermo nel 1625 e fu sepolta nella chiesa di San Giorgio dei Genovesi, dove si trova la lapide fatta erigere dal marito nel centenario della sua nascita nel 1632.

Figura 6: Antoon van Dyck, ritratto di Sofonisba Anguissola, 1624, Knole House, Inghilterra.

L’arte gentile negli autoritratti di Sofonisba.

Come abbiamo accennato nel capitolo precedente, Sofonisba si distingue non solo come una delle prime pittrici nella storia dell’arte, ma anche perché, insieme a Dürer e Rembrandt, esegue un notevole numero di autoritratti. Ma perché questo grande interesse verso se stessa? Possiamo trovare un filo conduttore dell’analisi fatta sul proprio volto da Sofonisba nell’arco della vita?

Figura 7: Sofonisba Anguissola, autoritratto, 1554, Kunsthistorisches Museum, Vienna.

Il piccolo Autoritratto oggi conservato al Kunsthistorisches Museum di Vienna, è il primo in ordine cronologico tra i molti dipinti da Sofonisba a noi noti17, e ci mostra una ragazza molto giovane, già caratterizzata da alcuni dettagli, sia fisiognomici che di abbigliamento, ricorrenti nella produzione successiva.

Innanzi tutto Sofonisba si presenta evidenziando i grandi occhi chiari e la semplicità della pettinatura, il cui unico vezzo è costituito dalla lunga treccia castana che gira intorno al capo, e poi completa la propria immagine con un abito austero ma dignitoso formato da un corpetto rischiarato dal collo della camicia sottostante e dalle maniche di un tono appena più arrossato; è completamente priva di gioielli e tiene in mano un libretto aperto. Quest’ultimo reca, in carattere corsivo, un’iscrizione che approfondite indagini eseguite a Vienna hanno dimostrato autentica, in cui l’autoritratto si conferma come tale e si legge la data “1554”. Proprio questa data, anteriore di un anno soltanto al quadro Partita a scacchi (fig. 1), sembra evidenziare la rapidità dell’apprendistato artistico di Sofonisba che presto arriverà alla sua fioritura pittorica.

Nella tavoletta di Vienna la cremonese, la pittrice cremonese, che dovrebbe essere ormai ventenne, presenta ancora qualche incertezza sperimentale nell’impostare il proprio volto, che accenna uno sguardo ancora timido, anche se è probabile che un’antica pulitura troppo invasiva abbia eliminato molte velature, lasciando eccessivamente in evidenza l’ombra che taglia il mento, col risultato di conferire al viso un effetto di sfuggente sproporzione18. Anche la bocca, carnosa come visto in altri suoi quadri, è stata probabilmente ritoccata durante un antico maquillage, trasformando quasi in ghirigoro i due estremi delle labbra. Inoltre, si tenga conto del fatto che la scelta sperimentale del ridottissimo formato aumentò la difficoltà della resa fisionomica e psicologica di Sofonisba, tanto che il padre stesso in una lettera al duca Ercole II d’Este nel 1556, dove veniva accompagnato l’autoritratto, sembra quasi voler giustificare gli errori tecnici della figlia:

«Havendo di poi ditta mia figliola fatto un retrato della effige sua istessa mediante il spechio […] scorgeran ben forse di molti erori in detta pictura ragionevolmente cagionati dalla ettate et qualitatte della operatrice […]»19.

Sacchi aggiunge:

«L’impostazione del corpo della pittrice rimane ancora molto impostato ed austero, con una stesura scolastica e diligente appena ravvivata da pochi tocchi personali. Ma allo stesso tempo, vediamo alcuni dettagli di grande finezza come il vaporoso movimento e l’arricciarsi dei capelli all’attaccatura, o la leggerissima consistenza dell’organza della camicia rivelano l’originario aspetto del dipinto che presentava allo spettatore il vero volto della virtuosa cremonese, appena idealizzato nello sgranarsi fuor di misura dei grandi occhi grigio azzurri»20.

E’ da fare una precisazione sull’iscrizione latina Sophonisba Angussola virgo seipsam fecit 1554, poiché essa ha un significato ben preciso: mettere in risalto l’integrità della propria illibatezza, caratteristica che veniva richiesta alle donne prima del matrimonio. Sottolineare questa virtù era necessario per le pittrici del tempo poiché, nonostante i grandi passi avanti, rimanevano nel tessuto sociale ancora forti stereotipi di genere. Alle donne veniva concesso di dipingere, ma solo alcuni generi definiti “minori”, solo se sposate e madri o se appartenenti ad una buona famiglia, come nel caso di Sofonisba. L’arte, per quanto ci fosse la volontà di apertura verso le donne, non era ancora indirizzata ad un intento di parità: l’essere artista rimaneva ancora affare dell’uomo. Tanto che l’entrata delle donne nello scenario artistico, formò un’ulteriore separazione dei due generi in una sorta di classifica durata fino agli albori del ventesimo secolo. Agli uomini spettava la pratica dell’arte vera e propria, in tutte le sue sfaccettature, che portò a dare per delle tematiche dei criteri di superiorità e inferiorità. Alle donne, se proprio volevano essere artiste, spettavano generi come la pittura di paesaggio o la ritrattistica, quindi appropriati per quello che erano considerate. Inoltre, dovevano rispettare delle regole ben precise anche dal punto di vista rappresentativo: temi semplici, pittura delicata. L’eccesso di talento e di ricercatezza, l’esuberanza nei toni e nell’espressività non era gradita, veniva considerata “troppo mascolina.”21

Figura 8: Sofonisba Anguissola, autoritratto in miniatura, 1556 ca., Boston, Museum of Fine Arts.

Il piccolo dipinto, realizzato a olio su pergamena o carta su cartoncino e non su rame, fa parte del Museum of Fine Arts di Boston22. E’ un autoritratto dipinto poco dopo quello del 1554 (fig.6), che predilige sempre una un’attenzione per la pittura in miniatura. In questo caso, Sofonisba indossa il consueto abito nero con le maniche color prugna e ha il viso rischiarato dal collo bianco della camicia sottostante; presenta la solita pettinatura con la treccia avvolta intorno al capo e tiene in mano una rotella in color bronzo scuro, al centro del quale si trova un crittogramma composto dalle lettere  A C E I L M R intrecciate tra loro, formanti il nome del padre Amilcare. Intorno alla rotella corre l’iscrizione in capitali latine, che non reca l’indicazione della data. E’ possibile che il ritratto avesse una destinazione familiare appartenendo forse a Bianca Ponzoni Anguissola o a Sofonisba stessa, ma l’indicazione del luogo, Cremonae, sembra contraddire tale utilizzo privato. Il dilemma della datazione è stato risolto grazie al fatto che la grande perizia tecnica dimostrata da Sofonisba nel comporre il medaglione, abilità per cui fu celebre ai suoi tempi, trova una giustificazione soltanto nel contatto stabilito con Giulio Clovio, incontrato forse a Piacenza nel 1556, l’unico in grado di insegnare alla giovane cremonese a dipingere in un formato così piccolo conservando intatti i principi di verosimiglianza e profondità psicologica23.

La bravura della pittrice nel riuscire a padroneggiare questa tecnica così complessa, la possiamo constatare anche dal fatto che non essendo un ritratto al naturale, richiede una serie di accortezze e di un lavoro sulla propria fisionomia: Sofonisba ricorre all’idealizzazione della sua figura, per restituire il bel volto della virtuosa, e anche il ringiovanimento, per suscitare ancora più stupore nell’osservatore. I caratteri standard della figura di Sofonisba devono servire da criterio-guida per individuarne il volto: fronte alta, occhi sporgenti, grandi, chiari, bocca piccola ma evidente, ecc. Tutto questo senza individuare troppo il trascorrere del tempo sul suo bel viso. Un volto iconico incastonato in un oggetto eterno.

Figura 9: Sofonisba Anguissola, autoritratto al cavalletto, 1556-1565, Łańcut, Muzeum Zamek.

Questo autoritratto, di una qualità straordinaria, è stato mostrato al pubblico per la prima volta ufficialmente, insieme alle altre opere della pittrice, in occasione della mostra tenutasi a Cremona nel 199424. Pochissimo si conosce della sua storia e provenienza, ma la stesura e l’impaginazione rivelano che si tratta di un’opera magistrale di Sofonisba. 

Il dipinto, oggi conservato al Muzeum Zamek, presenta molte similitudini con l’Autoritratto alla spinetta di Napoli (fig. 9) sia dal punto di vista dell’impianto iconografico sia dall’affinità fisiognomica dei due volti, entrambi modellati in modo sicuro e morbido, i quali rivelano le molteplici esperienze acquisite da Sofonisba. 

L’opera compie un grande passo in avanti dal punto di vista tecnico: la pittura ad olio è stesa in maniera sapiente ed omogenea, aiutando la pittrice a concentrarsi anche sui dettagli più piccoli, donando all’opera precisione e minuzia ammirevole. La pittrice si raffigura nell’atto del dipingere, superando la staticità degli autoritratti precedenti, con gli strumenti da lavoro nelle mani, tra cui il pennello che tocca lievemente il quadro che ha di fronte.

Abbiamo la rappresentazione di un’artista nel lato più umano, che non ha paura di sporcarsi e di mostrarci la fatica del proprio lavoro: essa mescola i dettagli del proprio abito austero e della accuratissima acconciatura che incornicia il volto, con la tavolozza di colori pronti ad essere miscelati e il grembiule da lavoro poggiato sul petto. Lo sguardo della pittrice, valorizzato dallo sfondo nero, è diretto verso di noi: ci guarda in maniera sicura e diretta, a differenza dei quadri precedenti in cui il volto era ancora timido.

Non si nasconde, mostra con fierezza l’atto del dipingere, ancora una volta sottolineando il suo lavoro come artista. In Sofonisba c’è la ricerca, di un confronto con gli autoritratti dei colleghi: si guarda come un artista uomo guarderebbe se stesso, non dimenticandosi però di essere donna e delle difficoltà che questo comportava. A questo proposito, Valerio Guazzoni apre un confronto con un’altra pittrice che si ritrasse in maniera molto simile, Catharina van Hemessen:

«I due dipinti volevano evidenziare l’eccezione che le due donne erano consapevoli di rappresentare nell’ambito del proprio sesso»25.

A dare un’ulteriore tocco di serietà, è proprio il quadro dipinto da Sofonisba: Madonna con il Bambino, ritratti nell’atto di un abbraccio dolce e avvolgente da parte della madre, il cui profilo ricorda molto quello delle sorelle di Sofonisba. Un tributo forse alla sorella Lucia, morta nel 1565, data più plausibile dell’opera, che ancora oggi viene fatta oscillare tra 1556 e 156526.

Figura 10: Sofonisba Anguissola, autoritratto alla spinetta, 1555 ca., Napoli, Galleria di Capodimonte.

Uno degli autoritratti più iconici della pittrice cremonese passò, nel 1600, dalla raccolta di Fulvio Orsini a quella di Odoardo Farnese per poi prevenire, insieme con l’eredità Farnese, nella sua sede attuale nel museo di Capodimonte a Napoli27. Nella raccolta del gentiluomo Orsini si trovano, infatti, ben quattro opere di Sofonisba: un «Quadro scorniciato, di noce tocca d’oro, col ritratto della Sophonisba, di mano sua28» e la Partita a scacchi di Poznaǹ (fig.1), oltre a due disegni raffiguranti il Fanciullo morso da un gambero (fig. 4) e la Vecchia che studia l’alfabeto ed è derisa da una bambina (fig. 3). L’opera fu quindi ereditata dai Farnese ed è registrata in tutti gli inventari seicenteschi; per fare un esempio, nel 1653 è citata come:

«Quadro in tela tirato in tavola, cornice dorata, e l.re attorno con il ritratto di Sophonisba Pittrice in atto di sonare un cembalo, di mano sua propria …29»

Nel XIX secolo, il quadro venne considerato come un “ritratto di Sofonisba”, dipinto da Annibale Carracci. Ipotesi corretta poi nel 1890 da Giovanni Morelli30 che lo attribuì alla pittrice cremonese. Il problema dell’attribuzione nasce dal fatto che il dipinto non mostra né datazione né tantomeno la firma, poiché probabilmente esse erano contenute nella cornice dorata, che recava una scritta esplicativa che servì da guida per l’inventariazione seicentesca; perduta la cornice si smarrì la cognizione dell’autore del dipinto fino al corretto recupero stilistico di Morelli31. Secondo Flavio Caroli, la datazione dell’opera sarebbe «intorno o poco prima del 1554»32, in rapporto con l’Autoritratto di Vienna (fig.7). Proprio la supposta contiguità cronologica col dipinto viennese, e le conseguenti discrepanze fisionomiche che scaturivano dal confronto tra le due opere, indussero Caroli a proporre una nuova identità per la ritratta che gli parve assai simile alla Lucia della Partita a Scacchi.

L’impostazione spaziale del dipinto con la prospettiva volutamente ribaltata del tavolo su cui poggia la spinetta è simile a quella di altre opere di Sofonisba, mentre lo sfondo svolge la funzione di avvicinare la suonatrice al riguardante. La definizione chiaroscurale ma fusa del viso, lo stacco tra la figura e lo sfondo e la morbidezza dei dettagli apparentano strettamente l’Autoritratto alla spinetta con le opere dipinte da Sofonisba tra il 1556 e il 1557, tra cui l’Autoritratto al cavalletto (fig.8)33

Per quanto riguarda lo stile, Sacchi scrive:

«Superata la fase meticolosa e analitica degli anni giovanili, Sofonisba raggiunge in questo biennio la propria maturità artistica e personale; agli schemi destinati a presentare al mondo il suo bell’aspetto di virtuosa già impostati in precedenza, si aggiunge ora una reale padronanza del mezzo espressivo, maturato attraverso Bernardino Gatti sugli esempi parmigiani e ormai aperto anche su Tiziano e Moroni. La precisa inventariazione Orsini e il riscontro fisiognomico tra la fanciulla dell’autoritratto di Napoli e gli altri, fugano ogni dubbio sull’identità della suonatrice, che è Sofonisba in persona, postasi sulla scia delle altre virtuose europee contemporanee, talvolta raffigurate in atto di suonare la spinetta, oppure il virginale, caratterizzato da un forte alone positivo, attributo che sottolineava la virtù e il buon costume delle dame che lo suonavano34».

Figura 11: Sofonisba Anguissola, autoritratto, 1559 ca., Mialno, Pinacoteca di Brera.

L’autoritratto del 1564 (fig. 11) fu acquistato dalla Pinacoteca di Brera nel 1911 da un collezionista privato e, da quanto riportato dai cataloghi del museo, l’iscrizione sul dipinto:

[…]OPHONISBA[…]USSOLA[…]ILCARIS FILIA[…]M[…]SISL[…]XI35».

Oggi non è più leggibile, come è accaduto ad altri dipinti anguissoliani sottoposti a restauri e puliture che non abbiano predisposto una documentazione fotografica preliminare. La scritta doveva comunque trovarsi sullo sfondo o più plausibilmente sopra la spalla della fanciulla e non invece sul bordo anteriore del dipinto, dove alcune pennellate potrebbero essere scambiate per frammenti della data sono invece da riferire al disegno del ricco ricamo del corpetto, nei punti in cui le lumeggiature sono scomparse36.

Come per l’Autoritratto alla spinetta (fig. 9), non è chiara la collocazione cronologica dell’opera che, come suggerito dalla scritta, può essere stata eseguita a Cremona, intorno al 1561. Ma in quel periodo Sofonisba si trovava in Spagna, quindi si è pensato ad un’inesatta interpretazione della data, che è stata riportata al 1559, periodo decisamente corrispondente allo stile del quadro37. Inoltre, la somiglianza dell’abito con una medaglia di un artista cremonese ignoto, che ritrae Sofonisba Anguissola di profilo (fig. 11), realizzata nel 1559-60, fanno pensare che il periodo dell’autoritratto sia proprio quest’ultimo. L’impostazione e l’abbigliamento, identici in entrambe i casi, sono state descritti ampiamente da Francesco Rossi nella scheda che accompagnava la medaglia e descrive così l’abito della pittrice:

«La Anguissola indossa un tipico corpetto stretto in vita e provvisto di lungo scollo sul petto (“casso”), con collo rialzato alla veneziana e sovra maniche arricciate alla spalla; la camicia è chiusa al collo con un nastro sottile, e finita con un collo rialzato in merletto, che doppia quello del corpetto […]. Il costume non solo è sostanzialmente simile a quello dei ritratti noti della Anguissola, ma consente una datazione pressoché sicura entro il sesto decennio del Cinquecento […]38».

Figura 12: Anonimo cremonese, Medaglia di Sofonisba Anguissola, 1559-60, Londra, British Museum.

La veste morella di Sofonisba, molto curata nei dettagli che restituiscono il bordo pelliccia e il bellissimo collo ricamato, ci mostra una pittrice ormai adulta e matura nella pittura, che affronta l’analisi del proprio volto ormai in maniera esperta e abile. Il punto centrale del quadro sono i grandi occhi sporgenti, chiari luminosi, simili a quelli di tutti gli altri autoritratti. Essi si concentrano, come sempre, sullo spettatore come se si fissassero in uno specchio.

Il bel dipinto è ritenuto da sempre un Autoritratto di Sofonisba, ma alla fine degli anni ’80 e ’90; Flavio Caroli39 e Angela Ghirardi40 pensano che sia invece un ritratto di Minerva Anguissola.

  1.  S. M. Glenn, Sofonisba Anguissola: History’s Forgotten Prodigy, in «Women’s Studies», n. 18,  1990, p. 299. ↩︎
  2. O. Anguissola Scotti, La Famiglia Anguissola , Piacenza, TEP Gallarati, 1976, p. 35. ↩︎
  3.  C. Bonetti, Nel Centenario di Sofonisba Anguissola, in «Archivio Storico Lombardo», 1928, p. 287. ↩︎
  4.  I. S. Perlingieri, Sofonisba Anguissola’s Early Sketches, in «Woman’s Art Journal», n. 2, autunno 1988- inverno 1989, p. 10. ↩︎
  5.  Bonetti, Nel Centenario di Sofonisba Anguissola…cit, p. 287. ↩︎
  6. G. Greer, The Obstacle Race , New York, Farrar, Straus & Giroux, 1979, p.182. ↩︎
  7.  G. Zaist, Notizie Istoriche de’ Pittori, Scultori, ed Architetti Cremonese, Cremona 1774 rist.1976, p. 227.
    ↩︎
  8.  Perlingieri, Sofonisba Anguissola’s Early Sketches…cit, p. 11. ↩︎
  9.  Zaist, Notizie Istoriche de’ Pittori, Scultori, ed Architetti Cremonese…cit, p. 228. ↩︎
  10. A. Lamo, Discorso di Alessandro Lamo tratto da Notizie istoriche de pittori, scultori et architetti cremonesi di Giovanni Battista Zaist, Cremona, 1774, p. 40. ↩︎
  11. S. M. Glenn, Sofonisba Anguissola: History’s Forgotten Prodigy, in «Women’s Studies», 18,  1990, p. 297. ↩︎
  12.  G. Vasari,  Le vite de’ più eccellenti pittori, scultori, e architettori [1568], Firenze 1878-1885, 5, pp. 80-81, in Id., Fonti a stampa e letterarie 1550-1625, a cura di R. Sacchi, Cremona, Leonardo Arte, 1994.  ↩︎
  13.  Glenn, Sofonisba Anguissola: History’s Forgotten Prodigy…cit, p.297. ↩︎
  14.  Vasari, Le vite de’ più eccellenti pittori, scultori, e architettori…cit, pp. 310-320 . ↩︎
  15. O. Pinessi, Sofonisba Anguissola: un “pittore” alla corte di Filippo II, Milano, Selene Editori 1998, p.30. ↩︎
  16.  Zaist, Notizie Istoriche de’ Pittori, Scultori, ed Architetti Cremonese…cit, p.233. ↩︎
  17.  R. Sacchi, Sofonisba Anguissola e le sue sorelle (catalogo delle mostre tenute a Cremona, 17 settembre-11 dicembre 1994, Vienna, gennaio-marzo 1995, Washington, aprile-giugno 1995), Milano, Leonardo Arte 1994, p. 188. ↩︎
  18. Ibidem ↩︎
  19.  A. Venturi, Zur Geschichte der Kunstsammlungen Kaiser Rudolf II, in «Repertorium für Kunstwissenschaft», 1885, p.21. ↩︎
  20. Sacchi, Sofonisba Anguissola e le sue sorelle…cit, p. 188. ↩︎
  21.  M. Alvarez, Historical Studies of the Practice and Profession of Women Artists,in Political systems and definitions of gender roles, a cura di G.Hálfdanarson, A. K. Isaacs, Pisa 2001, pp. 105-107. ↩︎
  22.  Sacchi, Sofonisba Anguissola e le sue sorelle…cit, p. 196. ↩︎
  23. Ibidem. ↩︎
  24.  Ivi, p. 198 ↩︎
  25.  V. Guazzoni, Donna, pittrice e gentildonna: la nascita di un mito femminile nel Cinquecento, in Sofonisba Anguissola e le sue sorelle, a cura di P. Buffa, Leonardo Arte, Milano 1994, pp.57-70. ↩︎
  26. Sacchi, Sofonisba Anguissola e le sue sorelle…cit, p. 198. ↩︎
  27.  Ivi, p. 202 ↩︎
  28.  P. De Nohlac, Les collections de Fulvio Orsini. Galerie de peinture au XVI siècle, in «Gazette des Beaux Arts», 29, 1884, pp.427-436. ↩︎
  29.  G. Bertini, La Galleria del Duca di Parma. Storia di una collezione, Parma 1987, p. 136. ↩︎
  30.  G. Morelli, Kunstkritische Studien überitalienische Malerei, Lipsia ed. it. 1897, p.198. ↩︎
  31.  Sacchi, Sofonisba Anguissola e le sue sorelle…cit, p. 202. ↩︎
  32. Caroli, Sofonisba Anguissola e le sue sorelle…cit, pp. 26 e 100. ↩︎
  33. Sacchi, Sofonisba Anguissola e le sue sorelle…cit, p. 202 ↩︎
  34. Ibidem. ↩︎
  35. S. Bandera Bistoletti, Pinacoteca di Brera. Scuole lombarda, ligure e piemontese 1535-1796, Milano 1989, pp. 130-131. ↩︎
  36. Guazzoni, Sofonisba Anguissola e le sue sorelle…cit, p. 224. ↩︎
  37.  Ibidem ↩︎
  38.  F. Rossi, Medaglie in I Campi e la cultura artistica cremonese del Cinquecento (catalogo della mostra Cremona, 1985), Milano 1985, pp. 347-368. ↩︎
  39. Caroli, Sofonisba Anguissola e le sue sorelle…cit, p. 134. ↩︎
  40. A. Ghirardi, Una ricerca iconografica nel cenacolo delle Anguissola: i ritratti di Minerva, in «Paragone», 1992, p.38. ↩︎

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