Immaginare, comporre, trasformare: Gaia Aloisi e il suo percorso creativo
2/26/2025 - Enrica Sirigu
Ho conosciuto Gaia Aloisi, talentuosa compositrice, nella primavera di quest’anno, 2024, e da subito ho pensato che fosse una persona e un’artista molto interessante.
Ho ascoltato una sua intervista nel podcast Itaca e mentre ascoltavo non ho potuto fare a meno di notare quanti punti in comune avessi con Gaia per quanto riguarda il percorso musicale. Ho quindi pensato di contattarla per approfondire la sua conoscenza e così ho scoperto una persona molto colta e una compositrice giovane che ha già una grande esperienza a livello internazionale. I suoi lavori vengono commissionati e suonati in tutto il mondo e la sua vita è ricca di viaggi, connessioni ed esperienze di grande interesse.
Per questo motivo ho pensato che, intervistarla per Donne e Arte, potesse essere un valore aggiunto. Guardare anche alle artiste dei giorni nostri è fondamentale per capire a che punto siamo nella lotta alla parità di genere, quanta strada c’è ancora da fare ma anche, quali insegnamenti hanno da dare le artiste oggi, quali strade stanno percorrendo, che proposte comunicano, qual è il loro sguardo sul mondo.
La tua formazione musicale ti ha portato a viaggiare e vivere fuori dalla Sardegna. Puoi raccontarmi il tuo percorso di studi?
La mia formazione musicale non è stata lineare, e questa complessità ha profondamente influenzato la mia identità compositiva. Non provenendo da una famiglia di musicisti, il percorso tradizionale del conservatorio non mi era immediatamente chiaro o accessibile. Tuttavia, la musica è stata una costante nella mia vita fin da bambina: passavo pomeriggi a casa dei nonni, sperimentando con un pianoforte, cantando e provando vari strumenti.
Dopo brevi studi di pianoforte e chitarra classica, è stato il canto lirico a catturare la mia attenzione, portandomi alla Haute école de Musique di Ginevra. Lì ho scoperto una mancanza: sebbene il canto fosse profondamente creativo, sentivo il bisogno di una dimensione più inventiva, di creare qualcosa di nuovo. Lo studio della composizione come materia complementare si è rivelato decisivo, appassionandomi più di ogni altra disciplina musicale. Dopo il master in musica contemporanea a Lugano, ho abbandonato il canto a livello professionale per dedicarmi interamente alla composizione.
Da allora, il mio percorso mi ha portata in diverse città e istituzioni: dal Conservatorio di Milano all’Accademia Nazionale di Santa Cecilia a Roma, fino all’Università della Musica di Vienna. Ogni esperienza ha lasciato un’impronta indelebile sul mio modo di creare musica. Viaggiare e vivere in contesti culturali diversi è stato fondamentale per il mio sviluppo artistico, offrendo nuovi stimoli e prospettive. Nonostante questo continuo movimento, la Sardegna resta sempre un punto di riferimento.

Le tue composizioni traggono spesso spunto dalla letteratura, mi vengono in mente Du aber bist der Baum, In muti istanti, Ringe, Quatre fragments de Mallarmé. Puoi raccontare come inizia il tuo processo compositivo e come si sviluppa?
Qui potrei parlare davvero per ore! L’ispirazione che traggo dalla letteratura – o meglio, dai concetti che essa veicola – rappresenta solo uno degli aspetti del mio processo creativo. Spesso un concetto letterario diventa il punto di partenza, ma il mio obiettivo non è tradurlo in musica in modo didascalico. Lo considero uno strumento per esplorare e sviluppare un’idea musicale, focalizzata sulla generazione, trasformazione ed evoluzione del suono. Queste idee possono nascere dalla poesia, una fonte privilegiata per me, ma anche da immagini visive, idee astratte o esperienze personali. Ad esempio, ho scritto un brano strumentale ispirato a una vicenda intima: per me fondamentale, ma emotivamente invisibile all’ascoltatore.
In altre situazioni, parto da un’idea sonora pura, senza riferimenti extramusicali, concentrandomi sulle qualità intrinseche del suono e sulla sua struttura. Una volta individuata l’idea di base, il suo sviluppo può seguire direzioni infinite, vincolate solo dai limiti fisici degli strumenti. Prediligo percorsi con una forte impronta drammaturgica, influenzati dal mio background canoro e teatrale, e mi interessa particolarmente la “gestualità” del suono: un corpo in movimento, con gesti che si ripetono, mutano o si trasformano.
Cerco di bilanciare la riflessione concettuale con l’attenzione alla percezione uditiva. È fondamentale chiedersi come il risultato sarà percepito dall’ascoltatore. Scrivere una partitura complessa e teoricamente impeccabile è appagante, ma la vera sfida è traslare l’immaginazione in un linguaggio scritto che diventi suono. Questo processo richiede un costante esercizio di astrazione, per anticipare l’effetto sonoro e lavorarci su.
E, curiosamente, il risultato finale può riservare sorprese anche a noi compositrici: spesso un brano suona in modo diverso da come lo avevamo immaginato, e questo può essere tanto deludente quanto meravigliosamente stimolante. Questo margine di imprevedibilità, secondo me, è uno degli aspetti più affascinanti e dinamici del processo creativo.
Quale aspetto del tuo processo creativo trovi più stimolante?
Tra i vari aspetti che compongono il mio processo creativo, quello che trovo più stimolante è sicuramente l’immaginazione. L’idea di concepire un suono nella mente, immaginarlo nel dettaglio mentre si evolve e si trasforma, e infine cercare di trasmetterlo agli altri attraverso un linguaggio musicale è qualcosa che mi affascina profondamente. Questo processo di traduzione dell’intangibile in una realtà sonora, puramente soggettiva e personale, è reso ancora più entusiasmante dal fatto che la musica contemporanea – o meglio, la musica “colta” di oggi – si muove in un panorama stilistico privo di vincoli rigidi. Non ci sono regole da seguire necessariamente, ma c’è la possibilità di esplorare e reinventare continuamente il proprio linguaggio espressivo. Questo rende il viaggio compositivo un’avventura sempre nuova, che mi offre la libertà di dialogare con il concetto di suono in modi sempre diversi.
Allo stesso tempo, trovo ugualmente appassionante il percorso opposto, ovvero partire dal suono concreto, dall’esperienza diretta della materia sonora, e lasciare che sia essa a guidare il processo creativo. È qualcosa che sto esplorando sempre di più, specialmente attraverso il lavoro con la musica elettronica. Qui il mio approccio si fa più “artigianale”, giocando con il suono in modo fisico, manipolandolo, trasformandolo e ricercandone le potenzialità timbriche. Per una persona come me, abituata a lavorare spesso sull’astrazione pura, questo approccio rappresenta una nuova frontiera creativa che trovo incredibilmente stimolante.
Un altro aspetto altrettanto gratificante è l’interazione con musicisti e musiciste. Credo che la figura della compositrice come essere solitario che lavora in isolamento sia uno stereotipo ormai superato. Nel mio percorso, la collaborazione con gli interpreti è fondamentale: sperimentare sullo strumento insieme a loro, ascoltare i loro feedback e discutere le possibilità tecniche ed espressive arricchisce il processo creativo in modi inaspettati. È una relazione di crescita reciproca, in cui le idee si evolvono e maturano. Questo dialogo umano e professionale mi ricorda ogni volta perché ho scelto la musica, nel profondo: per relazionarmi con gli altri.

Cosa significa comporre, secondo il tuo punto di vista?
Questa è una domanda che considero centrale, non solo nel mio percorso artistico, ma anche nella mia riflessione personale. È il cuore di un progetto di ricerca che porto avanti e che spero di sviluppare anche in ambito accademico. Spesso si immagina il compositore come una figura solitaria e concentrata esclusivamente su un lavoro tecnico, e, personalmente, trovo questa visione limitante rispetto alla natura stessa dell’atto compositivo. Per me, comporre è molto più di questo: è una disposizione creativa verso il mondo, una spinta vitale che appartiene a ogni essere umano, indipendentemente dalla formazione musicale.
Credo che la composizione non si esaurisca nelle note su un pentagramma o in definizioni artistiche ristrette. È un atto universale, che non richiede etichette, e invita a superare le barriere delle categorie predefinite, sia nel modo in cui vediamo gli altri che noi stessi. Questa idea è per me liberatoria: la creatività, come forza vitale, mi ha aiutata nei momenti difficili e nei periodi di crescita personale.
Alla fine, credo che la composizione appartenga a tutti: ogni scelta, ogni gesto creativo – grande o piccolo – è una forma di composizione. Vivere la vita come un atto creativo significa cogliere ogni giorno come un’occasione per esplorare, imparare e costruire con gioia.
Una tua composizione a cui sei particolarmente legata e perché.
Sicuramente Three Clocks per grande ensemble, presentata a Roma nell’ottobre 2023. Si tratta di un brano per undici strumenti con una storia particolare: inizialmente concepito per chitarra sola, è stato trasformato in un’opera per ensemble, permettendomi di sperimentare nuove modalità di scrittura e ripensare il materiale originale. La chitarra classica, con le sue peculiarità tecniche, è diventata una “matrice” da cui far germogliare un universo sonoro più ampio, rendendo il processo una soddisfazione personale.
Ciò che mi lega profondamente a questo brano è il contesto in cui è nato. L’ho scritto in un momento estremamente difficile della mia vita, tra sfide emotive e professionali, e con una scadenza importante e una prima esecuzione già programmata, ho temuto di non riuscire a completarlo. Eppure, sono andata avanti e, alla fine, è venuto fuori un lavoro che mi rende soddisfatta anche musicalmente.Il tema del brano, il tempo e il suo scorrere, è per me molto significativo e ricorrente nei miei lavori. La struttura si basa su tre momenti distinti e “cristallizzati” – da cui il titolo Three Clocks – che esplorano stati d’animo sospesi, evocando l’illusione di poter manipolare il tempo. Questo dialogo tra il desiderio umano di controllo e l’accettazione dell’ineluttabile ha assunto, in quel momento, un significato profondamente personale.

Da pochissimo (settembre 2024) ha debuttato a Londra l’opera lirica Aqua Tofana di cui tu hai scritto le musiche. Puoi raccontarmi che tipo di progetto è e che particolarità ha?
Aqua Tofana è stato sicuramente un progetto intenso, musicalmente e umanamente. La vicenda si sviluppa intorno alla figura di Giulia Tofana, alchimista di origini siciliane vissuta realmente nella Roma del Seicento, che vendeva in segreto un veleno incolore ed inodore – l’Aqua Tofana, appunto – alle donne intrappolate in matrimoni violenti (ma non solo!) affinché si liberassero dei propri mariti. Una sorta di “serial killer sui generis”, che mi ha colpita profondamente e la cui storia è quasi una miniera d’oro di riflessioni e di spunti artistici: Tofana, in un’epoca in cui le donne erano oppresse e intrappolate in matrimoni forzati e spesso violenti, riuscì a creare un “business” rivoluzionario per quei tempi, che offriva alle donne una possibilità di emancipazione – pur se attraverso mezzi estremi e moralmente controversi. È una vicenda che invita a porsi domande fondamentali sulla libertà individuale e sui limiti della morale: nel suo atto di vendere un veleno per liberare le donne da matrimoni violenti, c’è un’interessante sovrapposizione tra giustizia e crimine, tra autodeterminazione e oppressione.
Il progetto mi ha appassionata moltissimo e che ha segnato un punto di svolta nel mio approccio artistico alla composizione, anche e soprattutto per il lavoro musicale e di riflessione su una figura come quella di Giulia Tofana, incredibilmente attuale ancora oggi, e sulla sua complessità: non si tratta solo di un’alchimista o di una figura storica dedita a una missione ambigua, ma è una donna che incarna un’intera gamma di contraddizioni: salvatrice per alcune, assassina per altre, un enigma umano immerso in dilemmi morali. La sua vicenda mi ha permesso di affrontare in musica temi universali e senza tempo, come l’ambivalenza umana, le tensioni tra luce e buio, e il fragile confine tra bene e male. La domanda su dove inizi la morale e dove termini il pragmatismo è stata fondamentale in quest’opera, perché ciò che mi interessa – anche nel quotidiano, “fuori” dalla musica – è indagare l’essere umano nella sua complessità, andando oltre la classica dicotomia buono-cattivo.
L’opera mi è stata commissionata da Operative Productions, con sede a Londra, ed è stata rappresentata al Tête à Tête Opera Festival, molto noto in quanto si occupa di mettere in scena opere moderne, inclusive e con mezzi e tematiche non convenzionali. Lavorare con il team è stato fantastico: si è creato un ambiente molto aperto e amichevole, quasi familiare, in cui tutti credevamo nel progetto nonostante, ad un certo punto, siano sopraggiunte alcune difficoltà logistiche ed economiche. La versione londinese ha visto in scena tre cantanti accompagnati esclusivamente dalla musica elettronica e da un accurato lighting design – una rappresentazione operistica, dunque, decisamente non convenzionale. Stiamo lavorando per portare in Italia la versione integrale con ensemble strumentale, verosimilmente nel 2025 o 2026.

Che progetti hai per il futuro?
Oltre a lavorare alla versione integrale di Aqua Tofana – un lavoro che mi entusiasma molto –, sto componendo un brano orchestrale su commissione dell’Orchestra Antonio Vivaldi, diretta da Lorenzo Passerini. Parallelamente, approfondisco la ricerca nella musica elettronica, stimolata dall’esperienza dell’opera londinese e mi dedico al completamento di un disco monografico, al quale lavoro da tempo, previsto per il 2025.
Sitografia
https://www.tete-a-tete.org.uk/event/aqua-tofana
https://www.youtube.com/@gaia.aloisi/videos https://open.spotify.com/episode/4K14MSOn4iZ075Kf1pKyw8
https://open.spotify.com/episode/4K14MSOn4iZ075Kf1pKyw8